
photo: Marco Monari
Titolo: Materie
Organico: carta, plastica, metallo, legno, acqua, corpo, terra
Anno: 2006
Produzione: ICARUS music lab
Editore: Sifare edizioni musicali
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Indagare la materia.
Sperimentare le capacità sonore di materiali eterogenei, con la prospettiva purista e
purificatrice di analisi monotematiche, di realizzazioni che prevedessero l’impiego esclusivo e idiofonico di un materiale alla volta, senza incontri, senza contaminazioni.
L’idea, nel 2005, era quella di sondare le caratteristiche sonore di plastica, metallo, corpo, acqua, terra, legno e carta, per poter realizzare una sorta di armamentario udibile da utilizzare nei miei lavori. Una ricerca solitaria e assolutamente privata quindi, volta ad accrescere le mie conoscenze e il database dei suoni impiegabili in futuro. Ma, come sempre accade, ciò che è compiuto non ci appartiene più, e anche Materie ha preteso d’avere vita propria; da allora è divenuto uno dei miei lavori più impiegati: sonorizzazione di immagini, utilizzo come musica di scena per la danza e il teatro, pubblicazioni e ristampe.
Oggi, a distanza di cinque anni, continuo ad amare molto questo lavoro, a guardarlo con accondiscendenza e, soprattutto, riconosco in esso - sempre più chiaramente - gli spunti che hanno portato a molti dei lavori successivi, fino agli attuali. O, per meglio dire, Materie mi ha fornito anni fa, tutte in una volta, decine di enigmatiche risposte, da assumere con il distacco del dogma, e solo ora - in itinere - riesco a vedere distintamente quali erano le domande.
m.g. (2010)
da "Marco Giannoni - Opere" di Rossella Taliano Grasso (2010)
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MATERIE
Piccola storia di sette elementi monologanti.
di Ilenia Buzzi
(2006)
Il y a. C’è. C’è dell’ineffabile, ma non rientra nell’ambito del Mistico.
E anche se fosse possibile trascendere queste mie proposizioni noi non scalfiremmo per nulla la superficie dell’opera che porta il titolo di Materie.
La scrittura è quel pensiero che si avvicina di più a ciò che lo allontana dall’oggetto di
questo breve scritto. Scrivere è in questo caso un estraniamento, un’espropriazione.
Sarà necessario, pertanto, scrivere con la consapevolezza che tratteremo una sostanza che eccede costantemente il linguaggio.
L’intenzionalità del compositore Marco Giannoni rivela subito un’originaria decostruzione di ogni sonorità riconoscibile. E se è vero che il suono del metallo o della carta, ad esempio, per assumere valore estetico dovrebbero avere in comune con la materia stessa la possibilità di diventare composizione sonora, in quest'opera ciò che viene creato non imita nulla, ovvero “imita solo l’inimitabile”. Ognuna delle sette materie è un’immagine, l'immagine dell'irrappresentabilità, alla stessa stregua del Corpo concepito da Jean-Luc Nancy come “visibilità dell'invisibile” e “frammento plastico dello spaziamento”. In quest'opera gli elementi hanno perduto la propria sostanza fondante, la forma che l’universo dei bisogni ha imposto loro, risultando così avulsi da un’ottica puramente funzionale e strutturale nella quale erano rimasti imbrigliati per tutta la loro evoluzione storico-sociale.
Un'attenta analisi dei suoni dei materiali utilizzati da Marco Giannoni ci rimanda, anche se su un piano diverso, al vecchio quesito sollevato da Jean Baudrillard a proposito degli oggetti quotidiani: ovvero al tentativo di sapere a quali esigenze questi elementi rispondano e, in questo caso, che tipo di esistenza conducano all’interno dell’universo sonoro e quali siano le strutture mentali che inficiano quelle funzionali.
Tutte queste domande ci permetteranno infine di abbozzare una riflessione che cerchi di comprendere se sia possibile creare un nuovo sistema astratto all'interno di una
fenomenologia del suono.
Sto parlando di un'esigenza puramente estetica che parte dallo studio dei sette elementi come materie sensibili, spogliate della loro intelaiatura transculturale, fino alla scoperta della modalità attraverso cui l’autore entra in rapporto con esse, conferendo loro una nuova vita intenzionale.
La perdita della loro struttura funzionale, la rottura di ogni “teatralità morale”, l’incurabile sospensione di senso non escludono tuttavia la perdita del loro livello più propriamente espressivo: superfici sensibili e significanti, fenomenologicamente attraversate, esse si configurano come il luogo in cui si risolvono i feroci assalti delle tecnologie e le alterazioni dell’udibilità naturale. L’estensione come spaziamento dell’esistenza prefigura una tensione verso il luogo di ogni senso possibile: frattura del vecchio sogno meccanicistico cartesiano.
Ora la loro matericità acquista valore semantico. Ogni materia è sullo stesso piano
dell’altra, le gerarchie si sono assopite e ogni materia è corpo tra i corpi.
L'acqua che costituisce l’oggetto invisibile ma puramente udibile per eccellenza, i metalli con la loro agghiacciante invadenza timbrica, la plastica come “desacralizzante carne postorganica”, la carta costantemente ferita da una lacerante poetica del gesto, il legno come sostanza organica dalla sonorità priva di passione eppure calda, la terra come decontrazione della materia e promiscuità di timbro e intensità sonora, non sono più oggetti qualsiasi dell’ambito spaziale ma diventano corpi viventi (leiben), pur non abbandonando del tutto lo statuto di mero corpo fisico (körper). O è il corpo umano, percosso, alterato, attraversato, a divenire come le altre sei materie un qualsiasi oggetto della natura?
Al di là della visione husserliana di ambivalenza corporea, Materie altro non è che
un’indagine, o meglio un’esplorazione di quella linea grigia, puramente virtuale, che traccia e diviene essa stessa il confine tra la disumanizzazione del corpo e l’umanizzazione dell’inerte materico. Da un lato, all’estrema prossimità di questa linea il corpo scopre d’essere strumento, oggetto sonoro, si scopre pelle, tegumenti, cartilagini, liquidi organici, complessi fisiologici, sistemi e apparati; dall’altro lato la materia creduta inerte si rivela sonora, “penetrata e penetrante”, non solo perché percuotibile ma, in qualche modo, perché generatrice di un suono endogeno, fisiologico anch’esso, posseduto in potenza ed ora finalmente ceduto.
Il corpo si tramuta in materia, la materia in corpo, tutto lì, a ridosso di questa linea che è Materie, barriera sottile e permeabile attraverso la quale per osmosi gli elementi separati si toccano, si inquinano, in una contaminazione che porta fatalmente all’annullamento delle loro identità. I materiali vivono fino in fondo il loro processo di svelamento in tutta la loro ricettività psicologica. Il suono di cui essi sono responsabili non ci illumina immediatamente sulla propria genesi ma rimane sempre “tensione insolubile”. Ambiguo è il loro esser-ci, da cui nessuna fenomenologia può sottrarci.
Tentare un approccio fenomenologico vuol dire aver già pronunciato un’inflessibile
sentenza; tale metodo ci informa subito sul tipo di fenomeno che ci accingiamo a
concettualizzare, ma la presunzione dell’aver scelto un metodo non ci esime dalla
responsabilità oggettiva a cui andiamo incontro con le nostre elucubrazioni.
Il suono diventa allora la linea di demarcazione tra interno ed esterno. Il suono si fa
sostanza e tale sostanza non è nulla di più vicino o nulla di più estraneo al nostro vecchio modo di concepire le singole materie.
Da invisibili ma udibili diventano violentemente così visibili da incombere troppo sulla nostra percezione di esse. Ma come pensare questi corpi senza la spazializzazione del tempo? Il tempo è materia. Materia plastica dell’estensione oltranzista di un principium individuationis. Ogni materia articola un ordine spaziale non perché lo spazio esista a partire dall’oggetto ma perché è lo spazio stesso a essere “negli” oggetti creando così una spazializzazione del tempo. Ogni materia è come i corpi senza luogo di cui parla Nancy, ovvero uno spazio aperto, o ancora, è quell ’essere dell’esistenza che ha “luogo al limite”, e infine è l’intersezione con ciò che è più estraneo al senso del pensabile.
L’apertura dell’oggetto, tuttavia, non costituisce la possibilità del suo completo
attraversamento, la materia sonora rimane costantemente aperta ma mai penetrata fino in fondo. La materia non è interamente plasmata a linguaggio musicale ma resiste, conservando la sua dignità di elemento estraneo alla significazione musicale.
La materia è sempre objectum che si lascia attraversare all’infinito, laddove l’infinito non implica mai una fine. Sette materie terribilmente implicate in una dimensione psicologica, costantemente aperte perché mai completamente presenti-al-mondo.
Materie è confine ed eccedenza, è ogni materia bruta del compositore muto, è l'insieme dei corpi, è la moltitudine trasbordante e forse, come direbbe Nietzsche a proposito del corporeo, è “una grande ragione, una pluralità con un unico senso”.
E ancora, è “l’inaggirabile”, come direbbe Lévinas, che per esistere ha bisogno
dell’interazione del compositore con l’impercettibile fenditura che ogni materia rivela del proprio sé. In fondo esisterebbe l’opera d’arte in assenza di questa apertura?
Se per Sartre l’opera musicale è un “irreale”, un evento che si dà nella trama del sensibile e del tempo ma che si sottrae al contingente, imponendosi inesorabilmente come un “perpetuo altrove”, al contrario qui l'astrazione si ripresenta incessantemente a noi nella sua più estrema matericità, dischiudendo così un ulteriore orizzonte di senso possibile.