san(Seb.)

Titolo: (san)Seb.

Organico: corpo, pianoforte, live electronics

Anno: 2011

Produzione: ICARUS music lab

Editore: MUS.A editions

Committente: festival Universi Diversi 2011 / Sabspace

Prima esecuzione assoluta: Padova, Palazzo Savonarola, 21 maggio 2011

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Ancora sul corpo.
Dopo il suo impiego negli album Materie (2005) e Corpus (2008) e l’utilizzo live in apertura dello spettacolo di danza contemporanea Corpo a Corpo (2009), il compositore Marco Giannoni torna a utilizzare il corpo in una performance commissionata dal Sab Space di Padova.
SanSeb. diviene così l’ultimo atto di una trilogia ideale che vede il corpo - sonoro e / o
sonorizzato - al centro della riflessione del compositore. Se il suo impiego negli album citati era per così dire puro, non prevedendo essi altri suoni se non quelli prodotti dal corpo, in SanSeb. giunge per Marco Giannoni il momento di contaminarlo, affiancarlo a uno strumento musicale canonico - il pianoforte - e a una traccia realizzata in base ai procedimenti della musica concreta.
E’ il momento che il corpo si misuri con l’altro, dialoghi, interagisca, combatta, resista o ceda. E’ probabilmente l’atto finale, quello che conferisce forse al corpo la dignità di strumento musicale, il più antico e il più moderno.
Lo spettacolo si manifesta come atto scenico, sviluppato per sovrapposizione di elementi: uno strato di musica concreta assemblato come un collage dei suoni che quotidianamente ci colpiscono, ci invadono, ci violentano o redimono. Sopra a esso va a innestarsi la musica eseguita dal vivo dalla pianista Paola Venditti, una suite di idee musicali alla quale il compositore affida il proprio commento sulla vicenda di (San) Sebastiano, assunta come archetipo del rapporto tra l’individuo e il mondo, tra la soggettività e l’altro-da-sé.
Completano l’affresco sonoro i suoni ottenuti dal vivo da Marco Giannoni sul corpo di una modella, interventi condizionati e collegati all’esecuzione delle parti pianistiche tanto quanto allo sviluppo delle registrazioni di musica concreta.
In scena il doppio (San) Sebastiano: un suo primo corpo è in piedi, al centro dello spazio, costretto, obbligato al martirio e trafitto da microfoni come da moderni dardi tecnologici; viene percorso dalle mani del compositore che sfregandolo, colpendolo, carezzandolo, ne sprigiona suoni, ne carpisce la visceralità, le intime voci delle carni, e lo espone ferocemente al mondo, il nostro anacronistico mondo mai sazio di reliquie. Su un lato della scena trova posto l’altro corpo di Sebastiano: il corpo estroflesso, l’invocante suicida disponibile al martirio; è inginocchiato, le mani protese in avanti e, dai polsi, le vene si dipartono a ventaglio, raggiungendo verticalmente ogni angolo della scena: è l’offertorio, il legame volontario con il mondo e con l’alter, lacerante e necessario.
Un unico simbolo scisso in due corpi non dialoganti, contrapposti e contraddittori, come spesso accade in ciascuno. Così, in quella che può apparire come l’ennesima indagine intellettuale sull’incomunicabilità e la violenza dei rapporti umani, (San) Sebastiano - come nel fenomeno dei suoni armonici - dovrà prendere coscienza delle proprie unità formanti, delle proprie parziali, prima di relazionarsi con l’alter, tracciando le strutture di una partitura umana in cui si riflette il macro - cosmo della musica.

m.g.